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PAPA FRANCESCO
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Il Cieco Nato

Un cieco

 

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Immaginare il mondo senza vederlo. Nessuno può comprendere questo tormento se non chi, come me, é nato cieco. Quando sei piccolo immagini che volto può avere tua madre, quella voce che ti rassicura, quella mano che ti accarezza, quella bocca che ti bacia. Senti il suo odore, la senti respirare vicino a te, ma non sai di che colore sono i suoi occhi, se i suoi capelli sono d’ebano o d’oro. O meglio, senti che gli altri parlano di occhi, capelli, bocche, mani, ma non sai cosa queste parole significhino. Non sai cos’è il mondo, lo immagini. Forse qualcuno dirà che il mondo è meglio immaginarlo che vederlo, perché è troppo brutto, e quando cresci e scopri tutte le ingiustizie che lo abitano potresti anche pensare che questo è vero. Ma io credo che sia meglio guardare negli occhi il male se così puoi vedere gli occhi del bene. Quell’uomo chiamato Gesù ha voluto farmi questo dono; ha imbrattato i miei occhi sterili col fango e mi ha detto di andare a lavarli alla piscina di Siloe. Ho creduto? Non so, forse ho solo sperato, in fondo cosa avevo da perdere? Questa penso sia la fede, sperare, non essere sicuri. E poi venne la luce; potete immaginare cosa sia vedere per la prima volta la luce, come un bimbo che abbandona il buio del ventre materno? Chi di voi può immaginare cosa sia vedere per la prima volta gli alberi, il sole, l’acqua, tutte quelle cose che ognuno ha sempre con sé e forse proprio per questo non ama e non apprezza davvero? Io sono nato quel giorno, come una crisalide che diventa farfalla e incomincia a volare, nel cielo azzurro. 

Enzo

Dal “Commento al Vangelo di Giovanni” di S.Agostino d’Ippona Vescovo

 

1. Il racconto che vi è stato letto di quell’uomo che era nato cieco e che il Signore illuminò, è molto lungo; e se volessimo commentarlo punto per punto come meriterebbe e nei limiti delle nostre forze, non basterebbe un giorno intero. Prego quindi ed esorto la vostra Carità a non pretendere la spiegazione di quelle parti che sono chiare; si andrebbe troppo per le lunghe se ci dovessimo fermare su ogni particolare. Cercherò quindi di illustrarvi brevemente il mistero del cieco illuminato. Tutti i prodigi straordinari compiuti da nostro Signore Gesù Cristo sono insieme dei fatti e delle parole; dei fatti perché sono veramente accaduti, delle parole perché hanno un significato. Se noi riflettiamo sul significato di questo fatto, ravvisiamo in questo cieco l’intero genere umano: tale cecità gli incolse mediante il peccato nella persona del primo uomo dal quale tutti abbiamo tratto l’origine non solo della morte ma anche del peccato. Se infatti la cecità rappresenta l’infedeltà e l’illuminazione la fede, il Cristo, allorché venne nel mondo, chi trovò fedele, dal momento che l’Apostolo nato dalla stirpe dei profeti afferma: Un tempo eravamo anche noi per natura figli dell’ira, come tutti gli altri (Ef 2, 3)? Se eravamo figli dell’ira, eravamo figli della vendetta, figli della condanna, figli della geenna. In che senso per natura, se non perché col peccato del primo uomo il male infettò la natura? Se il male infettò la natura, ogni uomo spiritualmente nasce cieco. Se vedesse, non avrebbe bisogno di guida: se ha bisogno di chi lo guidi e lo illumini, è perché è cieco dalla nascita.
2. Il Signore è venuto; e che ha fatto? Ci ha indicato un grande mistero. Sputò in terra (Gv 9, 6) e con la saliva fece del fango: il Verbo si fece carne (cf. Gv 1, 14). Col fango spalmò gli occhi del cieco; il quale tuttavia, sebbene così unto, non vedeva ancora. Lo inviò alla piscina di Siloe. L’evangelista si preoccupò di spiegarci il nome di questa piscina, dicendo: che vuol dire Inviato (Gv 9, 7). Voi sapete già chi è l’Inviato: se il Cristo non fosse stato inviato, nessuno di noi sarebbe stato liberato dal male. Il cieco si lavò gli occhi in quella piscina il cui nome significa l’Inviato; cioè fu battezzato nel Cristo. Pertanto, se battezzandolo, per così dire, in se stesso, lo illuminò, si può dire che quando gli spalmò gli occhi lo fece catecumeno. Certo, la profondità di questo grande sacramento si può esporre e illustrare in vari modi; ma alla vostra Carità basti sapere che si tratta di un grande mistero. Domanda a uno: Sei cristiano? Se è pagano o giudeo ti risponderà di no; ma se ti risponderà di sì, domandagli ancora: Sei catecumeno o fedele? Se ti risponde che è catecumeno, vuol dire che i suoi occhi sono stati spalmati di fango, ma che ancora non è stato lavato. In che senso gli sono stati spalmati gli occhi di fango? Domandaglielo e te lo dirà. Domandagli in chi crede, ed egli, per il fatto che è catecumeno, dirà: In Cristo. Io sto parlando ora a dei fedeli e a dei catecumeni. Cosa ho detto a proposito della saliva e del fango? Che il Verbo si fece carne. Ciò è noto anche ai catecumeni. Non è sufficiente che i loro occhi siano stati spalmati di fango; si affrettino a lavarsi, se vogliono vedere.
3. Dovendo ora dedicare l’attenzione a talune questioni che si incontrano in questo passo, anziché fermarci sui dettagli, scorreremo rapidamente le parole del Signore e l’insieme della narrazione. Passando vide un uomo cieco, non un cieco qualsiasi, ma un cieco dalla nascita. I suoi discepoli gli chiesero: Rabbi (Gv 9, 1-2). Voi sapete che Rabbi vuol dire Maestro. Lo chiamavano Maestro perché volevano imparare: e appunto come ad un maestro rivolgono al Signore la domanda: Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché nascesse cieco? Gesù rispose: Né lui ha peccato, né i suoi genitori (Gv 9, 2-3), perché nascesse cieco. Che ha detto? Se nessun uomo è senza peccato, come era possibile che i genitori di questo cieco fossero senza peccato? E forse anche lui era nato senza il peccato originale e, vivendo, non vi aveva aggiunto nulla di suo? Egli aveva gli occhi chiusi, ma non per questo i suoi desideri erano spenti. Quanto male possono fare i ciechi! Da quale male si astiene chi ha l’animo cattivo, anche se ha gli occhi chiusi? Non poteva vedere ma poteva pensare, e poteva desiderare cose che un cieco non può compiere e che tuttavia non sfuggono al giudizio di colui che scruta i cuori. Ora, se i suoi genitori avevano peccato, e anche lui, perché il Signore disse: Né lui ha peccato né i suoi genitori, se non in rapporto a quanto gli era stato chiesto, e per cui quello sarebbe nato cieco? Certamente i suoi genitori avevano peccato, ma non per questo egli era nato cieco. E se non era nato cieco per il peccato dei suoi genitori, per quale altra ragione era nato cieco? Ascolta il Maestro che te lo spiega. Egli ti chiede la fede per darti intelligenza. Egli ti spiega la ragione per cui quello è nato cieco: Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma fu perché siano manifestate in lui le opere di Dio.
4. Cosa dice poi il Signore? E’ necessario che io compia le opere di colui che mi ha inviato. Ecco l’Inviato nel quale il cieco si lavò la faccia. Notate le sue parole: E’ necessario che io compia le opere di colui che mi ha inviato, finché è giorno. Notate come sempre attribuisce tutta la gloria a colui dal quale ha origine; perché questi ha un Figlio che da lui ha origine, mentre egli stesso non deve a nessuno la sua origine. Ma perché, Signore, hai detto: Finché è giorno? Sta a sentire perché. Viene la notte quando nessuno può più operare (Gv 9, 4). Nemmeno tu, o Signore? Sarà così oscura quella notte che neanche tu, che sei l’autore della notte, potrai operare in essa? Penso infatti, o Signore Gesù, anzi non penso ma credo e sono certo che tu eri presente quando Dio disse: Sia luce; e fu luce (Gn 1, 3). Se egli creò per mezzo del Verbo, creò per mezzo tuo, e perciò sta scritto: Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui nulla è stato fatto (Gv 1, 3). Dio separò la luce dalle tenebre; chiamò luce il giorno, e tenebre la notte (Gn 1, 4-5).
5. Quale notte è questa nella quale, quando sopraggiungerà, nessuno potrà più operare? Ascolta la definizione del giorno e potrai avere un’idea di quella notte. Chi ci parlerà del giorno? Egli stesso: Finché sono nel mondo, io sono la luce del mondo (Gv 9, 5). Ecco, egli stesso è il giorno. E’ nel giorno che il cieco deve lavarsi gli occhi, se vuol vedere il giorno. Finché sono nel mondo – dice – io sono la luce del mondo. Io non so però quale sarà la notte nella quale Cristo non sarà presente, e nella quale nessuno potrà più operare. Dobbiamo ancora cercare. Abbiate pazienza, fratelli miei; lasciate che io cerchi; cerco insieme con voi; possa insieme con voi trovare presso colui dal quale io cerco. Da questo passo risulta in modo chiaro e preciso che il Signore, essendo egli la luce del mondo, intendeva identificarsi col giorno di cui stava parlando. Finché sono nel mondo – dice – io sono la luce del mondo. Anch’egli quindi opera. Ma fino a quando egli è nel mondo? Diremo, fratelli, che vi era allora e adesso non più? Se diciamo questo, vuol dire che con l’ascensione del Signore cominciò quella notte spaventosa nella quale nessuno può più operare. Se dopo l’ascensione del Signore ci troviamo già in questa notte, come hanno potuto gli Apostoli compiere tante opere? Si era già forse in questa notte quando venne lo Spirito Santo e, riempiendo tutti quelli che si trovavano riuniti in un medesimo luogo, concesse loro di parlare nelle lingue di tutte le genti (cf. At 2, 1-6)? Era forse notte quando lo storpio fu guarito dalla parola di Pietro, o meglio dalla parola del Signore dimorante in Pietro (cf. At 3, 6-8)? Era forse notte quando i malati nei loro letti venivano esposti al passaggio dei discepoli perché fossero toccati almeno dalla loro ombra (cf. At 5, 15)? Non pare che il Signore, quando era qui con noi, abbia mai guarito qualcuno solo passando e toccando con la sua ombra; ma egli stesso aveva detto ai discepoli: Voi farete cose più grandi di queste (Gv 14, 12). Sì, è vero, il Signore ha detto che essi avrebbero compiuto opere maggiori delle sue; tuttavia la carne e il sangue, per non insuperbirsi, ricordino le altre parole: Senza di me, voi non potete far nulla (Gv 15, 5).
6. E allora? Che dire di questa notte? Quando sopraggiungerà questa notte nella quale non si potrà più operare? Sarà la notte degli empi, la notte di coloro ai quali alla fine sarà detto: Andate al fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli (Mt 25, 41). Ma qui si parla di notte, non di fiamme né di fuoco. Ascolta che c’entra anche la notte, quando a proposito di un tal servo si dice: Legatelo mani e piedi, e gettatelo fuori nelle tenebre (Mt 22, 13). Operi dunque l’uomo finché vive, per non essere sorpreso dalla notte in cui non si può più operare. E’ ora che la fede deve operare mediante l’amore; e se ora operiamo, ecco il giorno, ecco il Cristo. Tieni conto della sua promessa e non crederlo assente, avendo egli detto: Ecco che io sono con voi. Fino a quando? Non dobbiamo preoccuparci noi che viviamo ora; dobbiamo anzi trasmettere a coloro che verranno dopo di noi la sicurezza assoluta in queste parole: Ecco, – egli dice – io sono con voi fino alla consumazione dei secoli (Mt 28, 20). Il nostro giorno, che ha termine quando il sole ha compiuto il suo corso, è di poche ore; ma il giorno della presenza di Cristo si estende fino alla consumazione dei secoli. Dopo, però, la risurrezione dei vivi e dei morti, quando a quelli che saranno alla sua destra dirà: Venite, o benedetti del Padre mio, ricevete il regno, e a quelli alla sua sinistra: Andate al fuoco eterno, che fu preparato per il diavolo ed i suoi angeli (Mt 25, 34-41), allora comincerà la notte in cui nessuno potrà più operare, ma soltanto ricevere la ricompensa del suo operato. Altro è il tempo dell’opera, altro quello della ricompensa: il Signore renderà a ciascuno secondo le sue opere (cf. Mt 16, 27). Quel che hai intenzione di fare fallo mentre sei in vita, prima che sopraggiunga la notte fonda che inghiottirà gli empi. Fin d’ora ogni infedele che muore viene assorbito da questa notte in cui non si può più far nulla. E’ in questa notte che il ricco bruciava e implorava una goccia d’acqua sul dito del povero: soffriva, era tormentato, si confessava colpevole, ma nessuno poteva far niente per lui. Invano tentò di compiere un’opera buona dicendo: Padre Abramo! manda Lazzaro dai miei fratelli, per dire loro che cosa accade qui, in modo che non vengano anch’essi in questo luogo di tormento (Lc 16, 24-28). O infelice! quando eri in vita, allora era tempo di operare; ormai sei nella notte in cui nessuno può più operare.
7. Detto questo, sputò in terra e fece con la saliva un po’ di fango, lo spalmò sugli occhi del cieco e gli disse: Va’ a lavarti alla piscina di Siloe (che significa l’Inviato). Quello andò, si lavò e tornò che ci vedeva (Gv 9, 6-7). E’ tutto chiaro, andiamo avanti.
8. Perciò i vicini e quelli che prima erano soliti vederlo, giacché era un mendicante, dicevano: Ma costui non è quello che era seduto e mendicava? Altri dicevano: E’ lui; altri: No, ma gli assomiglia. Con gli occhi aperti aveva cambiato fisionomia. Egli diceva: Sono proprio io. E’ la voce della gratitudine, dove il silenzio sarebbe colpevole. Gli dissero allora: In che modo si sono aperti i tuoi occhi? Egli rispose: Quell’uomo chiamato Gesù, fece del fango e mi spalmò gli occhi e mi disse: Va’ alla piscina di Siloe e lavati! Ci sono andato, mi son lavato e ci vedo (Gv 9, 8-10). Eccolo diventato annunciatore della grazia; ecco che, diventato veggente, proclama il Vangelo, fa la sua professione di fede. La coraggiosa confessione del cieco spezza il cuore degli empi, i quali non avevano nel cuore ciò che egli ormai possedeva sul volto. E gli dissero: Dov’è colui che ti ha aperto gli occhi? Ed egli: Non lo so. Queste parole dimostrano che la sua anima è ancora simile a uno che ha ricevuto l’unzione e ancora non ci vede. E’ come se avesse avuto quell’unzione nell’anima. Predica il Cristo, che ancora egli non conosce.
9. Condussero quello che era stato cieco dai Farisei. Era di sabato quando Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. I Farisei dunque lo interrogarono di nuovo, come avesse riacquistata la vista. Ed egli disse loro: Mi ha messo del fango sugli occhi, mi son lavato e ci vedo. Dicevano allora alcuni farisei (Gv 9, 13-16). Non tutti, ma alcuni; qualcuno infatti veniva già toccato dall’unzione. Che dicevano dunque quelli che non vedevano né avevano gli occhi unti? Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato (Gv 9, 16). In realtà se c’era uno che osservava il sabato era proprio lui, che era senza peccato. In ciò consiste infatti il sabato nel suo valore spirituale: nell’essere liberi dal peccato. A questo, in sostanza, ci chiama il Signore quando ci raccomanda l’osservanza del sabato: Non farete alcuna opera servile (Lv 23, 8). Questo è il precetto divino relativo al sabato: Non farete alcuna opera servile. Richiamate le spiegazioni precedenti, per sapere cosa s’intende per opera servile; ascoltate il Signore: Chiunque commette peccato è schiavo del peccato (Gv 8, 34). Ma costoro che, come dicevo, non erano né veggenti né unti, osservavano il sabato in senso materiale e lo violavano nel suo significato spirituale. Altri dicevano: Come può un peccatore compiere questi segni? (Gv 9, 16). Ecco, questi sono unti. Ed erano in discordia tra loro. Il giorno, cioè il Signore, aveva separato la luce dalle tenebre. Dicono, dunque, di nuovo, al cieco: Tu che dici di colui che ti ha aperto gli occhi? (Gv 9, 17). Che opinione hai di lui? come lo consideri? come lo giudichi? Cercavano un capo d’accusa, per farlo cacciare dalla sinagoga; col risultato però di farlo accogliere dal Cristo. Egli coraggiosamente disse ciò che pensava: E’ un profeta! Essendo ancora nel cuore solo unto, non confessa ancora il Figlio di Dio, e tuttavia dice il vero. Il Signore parlando di se stesso dice: Non c’è profeta privo d’onore, se non nella sua patria (Mt 13, 57).
10. Tuttavia i Giudei non credettero che quello fosse stato cieco e poi avesse riacquistata la vista finché chiamarono i genitori di colui che aveva riacquistato la vista (Gv 9, 18), di colui cioè che era stato cieco e che ora vedeva. E li interrogarono: E’ questo vostro figlio, che voi dite sia nato cieco? come, dunque, ci vede adesso? I genitori di lui risposero: Noi sappiamo che questo è nostro figlio e che nacque cieco; come, poi, ora ci veda, questo non lo sappiamo; o chi gli aprì gli occhi non lo sappiamo. Interrogate lui: ha l’età, parli lui di sé (Gv 9, 19-21). Nostro figlio lo è, ma saremmo costretti a parlare per lui se fosse bambino e non potesse parlare da sé; da molto tempo parla e ora vede; sappiamo che è cieco dalla nascita, sappiamo che da tempo parla e ora costatiamo che ci vede; interrogate lui se volete informazioni; perché volete compromettere noi? I genitori del cieco dissero questo perché avevano paura dei Giudei; infatti, i Giudei avevano già stabilito che se qualcuno riconosceva Gesù come il Cristo doveva essere scacciato dalla sinagoga (Gv 9, 22). Ormai non era più un male essere cacciati dalla sinagoga. I Giudei cacciavano, ma il Cristo accoglieva. Per questo i genitori di lui dissero: Ha l’età, interrogate lui (Gv 9, 23).
11. Chiamarono dunque, di nuovo, colui che una volta era stato cieco, e gli dissero: Da’ gloria a Dio! (Gv 9, 24). Che significa Da’ gloria a Dio? Nega quanto hai ricevuto. Questo però non è dare gloria a Dio, ma piuttosto bestemmiarlo. Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è peccatore. Rispose: Se è peccatore non lo so; so una cosa soltanto: che prima ero cieco e adesso ci vedo. Allora gli domandarono di nuovo: Che cosa ti ha fatto? In che modo ti aprì gli occhi? (Gv 9, 24-26). Disgustato per l’ostinazione dei Giudei, egli che era cieco e adesso ci vedeva, non riuscendo più a sopportare quei ciechi, rispose loro: Già ve l’ho detto e non mi avete ascoltato; che volete di nuovo sentire? Forse anche voi volete diventare discepoli suoi? (Gv 9, 27). Che significa anche voi, se non: io già lo sono? Anche voi volete?; io vedo, ma non sono geloso da impedirvi di vedere.
12. Lo ingiuriarono e gli dissero: Sii tu discepolo di costui (Gv 9, 28). Cada su noi una tale ingiuria, e sui nostri figli. L’ingiuria era nei loro sentimenti, non nelle loro parole. Noi siamo discepoli di Mosè; noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; costui, invece, non sappiamo donde sia (Gv 9, 28-29). Se davvero sapeste che a Mosè ha parlato Dio, sapreste che per mezzo di Mosè è stato annunziato il Signore. Vi trovate infatti davanti al Signore che vi dice: Se credeste a Mosè, credereste anche a me; di me infatti egli ha scritto (Gv 5, 46). Vi gloriate di seguire il servitore e voltate le spalle al Signore? In realtà voi non seguite neppure il servitore, altrimenti egli vi condurrebbe al Signore.
13. Rispose quell’uomo: Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi! Si sa che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno ha il timor di Dio e ne compie la volontà, Dio l’esaudisce (Gv 9, 30-31). Ha ricevuto soltanto l’unzione colui che parla. Dio infatti esaudisce anche i peccatori. Se Dio non esaudisse i peccatori, invano il pubblicano, con gli occhi a terra e battendosi il petto, avrebbe detto: Signore, sii propizio a me peccatore (Lc 18, 13). Questa confessione meritò al pubblicano di essere giustificato, come al cieco di essere illuminato. Da che mondo è mondo, non si è mai udito che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se egli non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla (Gv 9, 32-33). Egli parla con libertà, con decisione, con verità. Queste opere compiute dal Signore, da chi potrebbero essere compiute se non da Dio? E come avrebbero potuto, i discepoli, compiere tali cose se il Signore non fosse stato in essi?
14. Gli risposero e dissero: Sei nato tutto intero nei peccati. Che significa tutto intero? Significa, con gli occhi chiusi. Ma chi apre gli occhi è lo stesso che salva tutta la persona, e colui che illumina il volto è lo stesso che concederà di stare alla sua destra nella risurrezione. Sei nato tutto intero nei peccati e vuoi insegnare a noi? E lo cacciarono fuori (Gv 9, 34). Lo hanno scelto come maestro, gli hanno rivolto tante domande per imparare, e adesso che lui insegna lo cacciano villanamente.
15. Ma come ho già detto, o fratelli, essi lo cacciano e il Signore lo accoglie; anzi è proprio in seguito alla sua espulsione dalla sinagoga che egli è diventato cristiano. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori, e trovatolo gli disse: Credi nel Figlio di Dio? Adesso gli lava la faccia del cuore. Quegli rispose – come se avesse ancora gli occhi spalmati -: E chi è, Signore, affinché io creda in lui? Gli disse Gesù: L’hai già veduto, e chi parla con te, è lui. Cristo è stato inviato dal Padre e questo cieco si lava la faccia in Siloe, che significa l’Inviato. Lavata finalmente la faccia del cuore e purificata la coscienza, riconoscendo cioè in lui non solo il figlio dell’uomo, che già prima aveva accettato, ma ormai anche il Figlio di Dio che aveva preso carne, disse: Credo, Signore. Ma non contento di dire credo, esprime in modo più esplicito la sua fede: E gettandosi ai suoi piedi, lo adorò (Gv 9, 35-38).
16. E Gesù disse. Ecco il giorno che distingue la luce dalle tenebre. Io sono venuto in questo mondo per fare un giudizio: perché vedano quelli che non vedono e quelli che vedono diventino ciechi (Gv 9, 39). Che vuol dire questo, o Signore? Presenti un problema profondo a noi che siamo già affaticati; ma sostieni, ti preghiamo, le nostre forze affinché possiamo intendere le tue parole. Sei venuto affinché vedano quelli che non vedono; è giusto, perché tu sei la luce, perché tu sei il giorno, perché tu ci liberi dalle tenebre; questo ognuno lo accetta e ognuno lo comprende. Ma che significa ciò che segue: e quelli che vedono diventino ciechi? Vuol dire forse che, a causa della tua venuta, diventeranno ciechi quelli che vedevano? Ascolta ciò che segue e forse comprenderai.
17. Colpiti sul vivo da queste parole del Signore: affinché quelli che vedono diventino ciechi, alcuni farisei gli dissero: Siamo forse ciechi anche noi? Hai sentito ora il motivo del loro turbamento. Disse loro Gesù: Se foste ciechi non avreste peccato. Essendo la cecità stessa un peccato, se foste ciechi, cioè se vi rendeste conto di essere ciechi, se ammetteste di esserlo, ricorrereste al medico; se foste ciechi in questo senso, non avreste peccato, perché io sono venuto a togliere il peccato; ma dal momento che dite: ci vediamo, il vostro peccato rimane (Gv 9, 40-41). Perché? Perché illudendovi che ci vedete, non cercate il medico e rimanete nella vostra cecità. Questo è il senso di ciò che prima non avevamo capito, quando il Signore aveva detto: Io sono venuto in questo mondo perché vedano quelli che non vedono. Che significa vedano quelli che non vedono? Significa che quanti riconoscono di non vedere e cercano il medico, vedranno. E che significa: e quelli che vedono diventino ciechi? Che quanti si illudono di vedere e non cercano il medico, rimangono nella loro cecità. Questa discriminazione la chiama giudizio, dicendo: Io sono venuto in questo mondo per fare un giudizio, un giudizio che distingua la causa dei credenti e di coloro che professano la loro fede dai superbi, da coloro che credono di vedere e che perciò sono più gravemente accecati. E’ così che il peccatore, riconoscendo la sua colpa e cercando il medico, gli dice: Giudicami, o Dio, e distingui la mia causa da quella di gente empia (Sal 42, 1), cioè dalla causa di coloro che dicono ci vediamo, e il cui peccato rimane. Non si tratta, però, ancora di quel giudizio sul mondo, con cui alla fine giudicherà i vivi e i morti. In ordine a tale giudizio infatti aveva detto: Io non giudico nessuno (Gv 8, 15); perché prima è venuto non per giudicare il mondo, ma affinché il mondo sia salvo per mezzo di lui (Gv 3, 17).

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