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PAPA FRANCESCO
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Giovedì Santo

“AVENDO AMATO I SUOI, CHE ERANO NEL MONDO, LI AMO’ FINO ALLA FINE” (Gv 13, 1)

Liturgia del Giovedì Santo


Oggi, come nel passato, la Chiesa percorre il cammino quaresimale seguendo il suo Signore Gesù Cristo, immersa nella storia degli uomini, feriti da odi, violenze e follie di ogni tipo e apre per loro e con loro, su questo mare di sofferenza e dolore, la strada su cui passa l’Amore Eterno di Dio. E’ il continuo esodo dell’umanità verso il compimento della storia, esodo che Cristo ha realizzato nella sua stessa carne, rinnovando e definendo per sempre il senso della Pasqua ebraica.

E’ in questa realtà, sempre antica, sempre nuova eppure mai uguale a se stessa, che si collocano le celebrazioni del Triduo pasquale, centro dell’anno liturgico che il Giovedì Santo inaugura, cominciando a  condurci nel cuore del mistero di Cristo, Figlio di Dio e della Vergine Maria, il quale – come riporta l’evangelista S. Giovanni – “sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1).

Questa notte prima della passione del Signore è una notte viva, intensa, ricca di parole e di gesti carichi di significati nuovi, mai immaginati. Notte in cui, mentre i Giudei preparano la loro cena pasquale, secondo l’antico rito, memoriale della liberazione dalla schiavitù d’Egitto, Gesù anticipa, durante quella che sarà la sua ultima cena, ciò che andrà a vivere, soltanto qualche ora più tardi, nella sua stessa persona: la liberazione dalla prigionia del peccato che incatena gli uomini, il passaggio dalla morte alla vita.

Partecipando alla liturgia eucaristica della Cena del Signore, seguiamo, allora, Gesù nella sua”ora”.

Si avvicina per lui il momento del combattimento finale, dell’agonia: è ormai tempo di ricevere quel  battesimo ansiosamente desiderato, capace di accendere il fuoco che sala la terra, purificandola.

E’ il fuoco dell’infinita passione del Signore verso ogni uomo di cui egli ha voluto farsi fratello e per il quale non ha esitato, lui, l’agnello innocente, senza macchia alcuna,  a scendere nelle profondità abissali del  peccato, assumendolo fino in fondo, divenendo lui stesso, corpo di maledizione, perché  l’uomo nuovo, ricreato in lui, potesse di nuovo vedere la luce della vita.

E’ anche il momento del distacco da coloro che ha scelto fin dal primo istante del suo ministero pubblico e che lo hanno seguito.

Sa che quella sarà l’ultima notte che passerà con loro. Per questo, i gesti che compie sono particolarmente solenni e tuttavia colmi di tenerezza, intimi.

Sono smarriti i discepoli e un po’ confusi, avvolti in un’atmosfera che non è quella di sempre, soprattutto quando vedono il loro Signore abbassarsi fino ai loro piedi per lavarli, in un servizio da schiavi, in un atteggiamento così assurdamente umile e umiliante che mette a disagio e perfino scandalizza.

Non è difficile immaginare lo sguardo sgomento che corre tra i commensali ed il Vangelo di Giovanni annota con precisione la reazione sdegnata di Pietro che, forse, come capita spesso, esprime le perplessità di tutti gli altri.

E Gesù li riconduce amorevolmente a sé, insegnando il servizio reciproco, invitandoli a guardare a lui, ad andare oltre se stessi.

Poi, d’un tratto, il clima di comunione fraterna si spezza e nel silenzio improvviso, come una pietra scagliata con violenza, si abbatte su di essi l’annuncio di un tradimento. Qualcuno di loro venderà il Signore e Maestro, lo consegnerà alla morte, proprio in una notte come quella, in cui ognuno spera un futuro migliore, secondo quanto Dio ha promesso e già attuato nel passato.

E’ sconcertante. Ciascuno vorrebbe chinarsi sul petto di Gesù, come fa il discepolo prediletto, per confortare il cuore di Cristo e, forse, per carpirne il doloroso e intimo segreto, conoscere il nome del traditore e scacciare così la sottile paura che fa porre la domanda: “Sono forse io?” (Lc 14, 19).

Nessuno comprende bene ciò che accade adesso, ma uno di loro, come aveva predetto Gesù, dopo aver ingoiato in fretta un boccone che egli gli porge, esce dalla sala luminosa e svanisce nell’ombra della notte.

Ecco, “l’ora” per cui Gesù è venuto non è più molto lontana. Il tempo è divenuto breve; c’è bisogno urgente di dire ai suoi – che ora chiama amici – tutto ciò che è necessario perché la loro fede non venga meno, quando gli avvenimenti precipiteranno, terribili, crudeli, inimmaginabili, capaci di cancellare, di colpo, come una gigantesca onda furiosa, entusiasmi, progetti, speranze.

“Vi lascio la pace, vi do la mia pace….non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore… come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore..questo è il mio comandamento:che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”(Gv 14,27; 15, 9.12). Parla così Gesù e parla anche della sua gloria presso il Padre e  di uno Spirito che verrà dopo di lui, che  non li abbandonerà mai e li consolerà, dopo la tribolazione, con una gioia mai sperimentata, li sosterrà, rivelando nei loro cuori, la Verità nella quale vivranno liberi.

Poi, Gesù inizia a pregare intensamente il Padre suo, abbracciando, con la sua preghiera ,non solo i suoi amici, ma ogni uomo, offrendo, nel suo corpo che liberamente consegna per essere spezzato, il gemito dell’umanità perduta, figlia della disobbedienza di Adamo e restituirla al Padre nella sua totale obbedienza di Figlio.

Allora acquistano senso la parole di benedizione pronunciate sul pane e sul vino posti sulla mensa e riportate dai Vangeli sinottici: “..prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “ “Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me” “. E dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo:” “ Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi” “ (Lc 22,19-20).

Ecco l’Eucarestia. Ecco il Corpo adorabile e santissimo del Salvatore la cui morte e resurrezione renderà sacramento eternamente vivo, eternamente donato, eternamente segno di un amore assoluto e gratuito. Mistero immenso della misericordia del Dio onnipotente, racchiuso tutto in un piccolo pezzo di pane e in qualche goccia di vino che le parole di consacrazione pronunciate da Gesù nel cenacolo e trasmesse fedelmente dai suoi sacerdoti lungo i secoli, rendono accessibile alla debole fede delle sue creature per nutrirle lungo il loro pellegrinaggio terreno e rafforzarle nella loro speranza del cielo.

E’ questo il sacramento del Corpo e Sangue di Cristo, che, sotto le specie del pane e del vino,è  offerto all’adorazione, alla contemplazione, alla lode di tutti i fedeli, come prolungamento dell’azione liturgica già celebrata.

La veglia notturna accanto a Gesù, realmente presente in quei doni della creazione trasformati dalla potenza di Dio, si riempirà, allora della gratitudine per Colui che ci ama sempre, così che, guardando Lui, annientato sulla croce per amore a ciascuno di noi,  abbandonato totalmente nelle mani del Padre, fatto piccolo e inerme, tanto da diventare nostro cibo,  possiamo gioire, nella fede,  dell’ “l’increata Carità” che muove l’universo, guida la storia, ci riveste della sua santità perché possiamo diffonderla nel mondo che ci circonda.

Dina

DAL VATICANO
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