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PAPA FRANCESCO
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Francesco Ieri e Oggi

Intra Tupino e l’acqua che discende
del colle eletto del beato Ubaldo,
fertile costa d’alto monte pende,
onde Perugia sente freddo e caldo
da Porta Sole; e di retro le piange
per grave giogo Nocera con Gualdo.
Di questa costa, là dov’ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo talvolta il Gange.

Però chi d’esso loco fa parole,

non dica Ascesi, che direbbe corto,

ma Oriente, se proprio dir vole.

Non era ancor molto lontan dall’orto,

ch’el cominciò a far sentire la terra

della sua gran virtute alcun conforto;

ché per tal donna, giovinetto, in guerra

del padre corse, a cui, come a la morte,

la porta del piacer nessun disserra;

e dinanzi a la sua spiritual corte

et coram patre le si fece unito;

poscia di dì in dì l’amò più forte.
Ma perché io non proceda troppo chiuso,
Francesco e Povertà per questi amanti
prendi oramai nel mio parlar diffuso.
La lor concordia ed i lor lieti sembianti,
amore e maraviglia e dolce sguardo
faceano esser cagione di pensier santi;
tanto che’l venerabile Bernardo
si scalzò prima, e dietro a tanta pace
corse e, correndo, li parve di esser tardo.
Né li gravò viltà di cor le ciglia
per esser fi’ di Pietro Bernardone,
né per parer dispetto a maraviglia;
ma regalmente sua dura intenzione
ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
primo sigillo a sua religione.
Poi che la gente poverella crebbe
dietro a costui, la cui mirabil vita
meglio in gloria del ciel si canterebbe,

di seconda corona redimita

fu per Onorio da l’Etterno Spiro

la santa voglia d’esto archimandrita.
E poi che, per la sete del martiro,
nella presenza del Soldan superba
predicò Cristo e gli altri che’l seguiro.
Nel crudo sasso intra Tevero e Arno
da Cristo prese l’ultimo sigillo,

che le sue membra due anni portarno.
Quando a Colui ch’a tanto ben sortillo
piacque di trarlo suso alla mercede
ch’el meritò nel farsi pusillo,
a’ frati suoi, si com’a giusta rede,
raccomandò la donna sua più cara,
e comandò che l’amassero a fede;
e del suo grembo l’anima preclara
mover si volle, tornando al suo regno,
e al suo corpo non volle altra bara.

(Dante Alighieri, Divina Commedia (Paradiso XI, 43-63.73-81.88-102.106-117)

Parafrasi:

Tra il fiume Topino e il fiume Chiascio, l’acqua che scende dal monte scelto dal beato Ubaldo come eremitaggio, digrada la fertile costa dell’alto massiccio del Subasio, dal quale Perugia riceve verso Porta Sole i venti freddi d’inverno e caldi d’estate; e sul versante opposto del Subasio piange sotto il pesante giogo Nocera con Gualdo Tadino. Sulla costa occidentale, là dove essa diventa meno ripida, nacque al mondo un sole, come talvolta questo sole nasce dal Gange. La luce spirituale di San Francesco ha lo stesso fulgore di quella del sole quando, nell’equinozio di primavera, esso sorge, rispetto al meridiano di Gerusalemme, nel suo punto più orientale. Perciò chi parla di quel luogo, non dica Assisi, perché direbbe troppo poco, ma dica Oriente, se vuol parlare con proprietà. Questo sole non era ancora molto lontano dal momento della sua comparsa, quando cominciò a far si che la terra sentisse qualche beneficio della sua potenza vivificatrice, perché, ancora giovane, affrontò una lotta col padre per amore di una donna tale, la Povertà, alla quale, come alla morte, nessuno fa grata accoglienza; e davanti alla curia vescovile della sua città e alla presenza del padre si unì a lei come sposo; in seguito l’amò di giorno in giorno sempre più intensamente. Ma perché io non continui a parlare in modo troppo oscuro, nel mio lungo discorso intendi ormai per questi due amanti Francesco e la Povertà. La loro concordia e la letizia dei loro aspetti facevano si che l’amore e l’ ammirazione e la dolce contemplazione che ne derivavano fossero motivo di santi pensieri; tanto che il beato Bernardo si scalzò per primo, e corse dietro a questa grande pace spirituale e, pur correndo, gli sembrò di andare troppo lento. Né viltà d’animo gli fece abbassare gli occhi per il fatto di essere figlio del mercante Pietro Bernardone, o per il fatto di avere un aspetto tanto spregevole da suscitare stupore, ma con regale dignità manifestò al papa Innocenzo III il suo proposito di una vita austera, e da lui ebbe il primo riconoscimento del nuovo ordine. Dopo che i seguaci della povertà si moltiplicarono dietro le orme di costui, la cui vita mirabile si canterebbe meglio nella gloria del cielo, la santa volontà di questo pastore fu coronata con una seconda approvazione dallo Spirito Santo per mezzo di papa Onorio III. E dopo che, spinto dalla sete del martirio, ebbe predicato la dottrina di Cristo e degli apostoli alla presenza del sultano nel fasto della sua corte, e avendo trovato il popolo musulmano troppo restio ad ogni tentativo di conversione, per non restare senza frutto, se ne tornò a far fruttificare il seme sparso in Italia, sulla cima rocciosa tra le valli del Tevere e dell’Arno ricevette da Cristo l’ultima approvazione con le sacre stimmate, che le sue membra portarono impresse per due anni. Quando a Dio che lo aveva destinato ad operare tanto bene, piacque di portarlo in cielo al premio che egli aveva meritato facendosi umile, ai suoi frati, come a legittimi eredi, raccomandò la donna sua più cara, e comandò loro che l’amassero con vera fede; e dal grembo della Povertà la sua nobile anima volle partire, per tornare al cielo che era il suo regno, e per il suo corpo non volle altra bara.

clip_image002.11Se ci si reca in pellegrinaggio ad Assisi, la prima tappa dell’itinerario sulle tracce di Francesco non può che essere la Chiesa Nuova, situata in una piccola e graziosa piazzetta nelle vicinanze del Comune. Annessa alla chiesa, infatti, è quella che la tradizione vuole essere stata la casa natale del santo, al cui ingresso è possibile leggere i meravigliosi versi tratti dalla terza cantica del Paradiso dantesco, dedicati all’elogio del grande assisiate.

Nato nel 1182, Francesco era figlio di Pietro Bernardone, un agiato commerciante che aveva voluto così chiamarlo a causa della sua grande ammirazione per i francesi, con i quali intratteneva fitti rapporti d’affari. Francesco si rivelò ben presto molto dotato: fisicamente delicato ma non fragile, possedeva una vivace attitudine per il commercio e conosceva, oltre il latino, anche il provenzale. La sua giovinezza fu spensierata quanto quella di ogni giovane di agiata famiglia, e ricca di sogni di gloria. Nel 1202 Francesco, ventenne, prese parte alla battaglia di Ponte S. Giovanni, che vedeva opposte la milizie assisiati alle schiere perugine. A seguito dello scontro, risoltosi in una pesante sconfitta per gli assisiati, fu tenuto prigioniero a Perugia per oltre un anno e fu liberato solo grazie alla grande influenza del padre. Una grave malattia, poi, ne mutò il carattere spensierato e nella primavera del 1205, mentre si accingeva a partire per un’altra spedizione militare, ebbe la prima visione che lo invitava a scegliere se servire gli uomini oppure Dio.

Da quel momento iniziò la conversione di Francesco, segnata dall’imitazione appassionata di Cristo attraverso la via della povertà e del servizio ai più emarginati. Nello stesso anno Francesco si dedicò al restauro della chiesa abbandonata di S.Damiano, nei pressi di Assisi, dove, come narrano le biografie ufficiali, un crocifisso di ligneo gli parlò esortandolo a riparare la casa che andava in rovina. Solo successivamente Francesco poté comprendere che la casa da restaurare era in realtà qualcosa di molto più ampio e complesso del povero edificio di S.Damiano… Il crocifisso, dipinto su tavola verso la fine del secolo XII, è oggi conservato in una cappella nella Chiesa di S.Chiara.

Pietro Bernardone, irritato per il comportamento così mutato dell’unico figlio, lo rinchiuse in casa e lo citò in giudizio dinanzi alle autorità civili e religiose della città per diseredarlo. Allora Francesco, restituì al padre perfino le vesti, restando nudo sulla piazza del Vescovado di Assisi.

Intorno a Francesco si riunì presto un gruppo di giovani, di diversa provenienza, disposti a seguire la semplice regola di povertà assoluta. Fra il 1209 e il 1210 Francesco e i suoi Frati si recarono a Roma per chiedere al Papa Innocenza III l’approvazione della Regola della nascente comunità religiosa. Il Papa concesse l’approvazione, ma solo oralmente, senza la ratifica scritta.

Ad Assisi, frattanto, cresceva il numero dei seguaci, per lo più giovanissimi, di differenti estrazione sociale e provenienza geografica e, con la giovane Chiara d’Assisi, prese avvio il ramo femminile della famiglia francescana.

Intorno al 1212, dopo aver predicato in varie regioni italiane, Francesco partì per la Terra Santa, ma un naufragio lo costrinse a tornare, e altri problemi gli impedirono di diffondere la sua opera missionaria in Spagna, dove intendeva fare proseliti tra i mori.

Nel 1219 si recò in Egitto, dove predicò davanti al sultano, senza però riuscire a convertirlo, poi si recò in Terra Santa, rimanendovi fino al 1220; al suo ritorno, trovò dissenso tra i frati (si delineava la spaccatura fra i fedeli osservanti della regola e coloro che ne proponevano un’attenuazione dettata dalle contingenze pratiche) e si dimise dall’incarico di superiore, dedicandosi a quello che sarebbe stato il terzo ordine dei francescani, in cui potevano essere accolti (grande novità) anche i laici.

Nel 1223 giunse la tanto attesa approvazione ufficiale della Regola da parte del Papa Onorio III e nacque così l’ordine francescano.

Ritiratosi sul monte della Verna nel settembre 1224, dopo 40 giorni di digiuno e sofferenza affrontati con gioia, ricevette le stigmate, i segni della crocifissione, sul cui aspetto, tuttavia, le fonti

non concordano.

Francesco venne portato ad Assisi, dove rimase per anni segnato dalla sofferenza fisica e da una cecità quasi totale, che non indebolì tuttavia quell’amore per Dio e per la creazione espresso nel Cantico di frate Sole, probabilmente composto nel 1225; in esso il Sole e gli astri, le creature e persino la morte sono lodati come fratelli e sorelle.

Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo Frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi Siignore, per sora Luna e le stelle:
il celu l’ài formate clarite et Pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per Frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi Signore, per sor’Acqua,
la quale è multo utile et humile et Pretiosa et casta.
Laudato si’, mi Signore, per Frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte;
ed elIo è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fior et herba.
Laudato si’, mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infermitate et tribulatione.
Beati quelli ke ‘l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’ mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue Sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ‘l farrà male.
Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.

Nel giugno 1226, mentre si trovava alle Celle di Cortona, dopo una notte molto tormentata, dettò il Testamento, per lui inscindibile dalla Regola, in cui esortava l’ordine a non allontanarsi dallo spirito originario. Nel 1226 si trovava a Bogogno, presso Nocera Umbra, egli però chiese ed ottenne di poter tornare a morire nel suo “luogo santo” preferito: la Porziuncola (presso Santa Maria degli Angeli). Qui la morte lo colse la sera del 3 ottobre.

Il suo corpo, dopo aver attraversato Assisi ed essere stato portato fino a San Damiano, per essere mostrato un’ultima volta a Chiara ed alle sue consorelle, venne sepolto nella chiesa di San Giorgio. Da qui la sua salma venne trasferita nell’attuale Basilica nel 1230 (quattro anni dopo la sua morte, due anni dopo la canonizzazione).

Forse non esiste figura di santo più amata di Francesco d’Assisi. Il suo messaggio è sempre attuale e ci invita all’accoglienza dell’altro, all’amore e al rispetto della natura, alla vita semplice, che sappia godere dell’essenziale.

Il francescanesimo si inserisce nel vasto movimento pauperistico del XIII secolo, in uno spirito di riforma volto contro la corruzione dei costumi degli ecclesiastici del tempo, troppo coinvolti negli interessi materiali e politici. A questo si deve aggiungere la fioritura del comune: la nascita delle ricche città stato, se da una parte arricchì una parte del popolo, determinò la formazione di quei ricchi ceti mercantili (il cosiddetto popolo grasso) che acquistava potere a scapito della vecchia nobiltà feudale, facendo della vita metropolitana il centro della civiltà, pur lasciandovi dentro larghissime fette del ceto contadino più indigente. Disuguaglianza sociale feroce, ma anche crisi dell’assetto sociale medievale, che dovette coinvolgere Francesco in prima persona mentre esercitava la professione di mercante.

Povertà, obbedienza e castità sono aspetti fondamentali della vita di Francesco e dei suoi discepoli. Dopo un primo periodo passato in solitudine, Francesco iniziò a vivere la propria vocazione insieme ai compagni che volevano imitare il suo esempio. L’umiltà e lo spirito ascetico, ai quali si accompagnò la vicinanza ai più poveri e più deboli valsero a Francesco il nome di Imitator Christi (“Imitatore di Cristo”): da qui inizia l’esperienza della “fraternità”, nella quale ciascun membro è dunque un imitator Francisci (“imitatore di Francesco”), e dunque un imitator Christi. Secondo la regola dettata da Francesco, la vita comunitaria deve cercare di conformarsi a questi principi:

  1. Fraternità: i frati non devono vivere soli, ma devono prendersi cura dei propri fratelli (e in generale di tutti) con amore e dedizione. La stessa cura si estende incondizionatamente non solo alle creature umane, ma a tutto il creato in quanto opera di Dio e dunque sacro, vivendo in questo modo la fraternità universale.
  2. Umiltà: porsi al di sotto di tutto e di tutti, al servizio dell’ultimo per essere davvero al servizio di Dio; liberarsi dai desideri terreni che allontanano l’uomo dal bene e dalla giustizia
  3. Povertà: rinuncia a possedere qualsiasi bene condividendo tutto ciò che ci è dato con i tutti i fratelli, partendo dai più bisognosi.

Alla preghiera e alla meditazione, la Regola francescana aggiunge lo spirito missionario, in una condotta di vita completamente diversa rispetto alla norma seguita fino ad allora da altri ordini monastici. È noto come Francesco prestasse la sua opera specie presso i ceti sociali più deboli, tendesse con amore fraterno verso quel “prossimo” spesso respinto e disprezzato dalla società, cioè verso il povero, il malato, il perdente, l’ultimo.

Francesco vuole essere il “minore tra i minori” (umile tra gli umili). Si sostiene che egli applicò ai compagni l’appellativo minores, dato in spregio ai popolani dai ricchi, perché lui stesso voleva incarnare la figura di “uomo del popolo”. Assisi e Santa Maria degli Angeli furono e sono tuttora il cuore pulsante da cui parte e a cui ritorna l’attività missionaria di questo nuovo Ordine dei minori, come da allora in poi furono chiamati tutti coloro che seguirono (e che seguono) il santo fondatore assisano. A imitazione dei poveri e dei mendicanti, è l’aspetto itinerante dei francescani, secondo il principio di portare il proprio sostegno materiale e spirituale al prossimo andandogli incontro là dove egli si trova; applicando questa regola alla prima persona, Francesco visse un incessante vagare, sostentandosi del frutto del lavoro che gli veniva offerto per strada e, dove questo non fosse possibile, attraverso l’elemosina.

In conclusione, si può citare un episodio forse meno conosciuto, ma molto significativo, della vita di Francesco. Egli stava transitando per la Puglia di ritorno dalla Terra Santa. Nel castello di Bari si trovava l’imperatore Federico II che, venuto a sapere dell’opportunità che gli si presentava per conoscerlo (lo ammirava molto ed era molto interessato al suo pensiero e alla sua personalità, che riteneva affine alla sua riguardo al rapporto con la natura) manifestò il desiderio di incontrarlo. Francesco perciò fu condotto al castello di Federico. Si trovarono così faccia a faccia le due grandi personalità del Duecento, quella religiosa e quella laica. Parlarono a lungo; Francesco predicò i suoi ideali di purezza e povertà, invitando l’imperatore a convertirsi e a uscire dal peccato. Federico non ne rimase convinto, per lui era impossibile che un uomo potesse rinunciare ai piaceri della vita. Perciò decise di fargli un brutto scherzo, una specie di esperimento cinico e crudele, come usava fare per dimostrare una sua tesi. Di notte, mentre il poverello d’Assisi dormiva, come suo solito, sulla nuda terra in una stanzetta del castello, mandò la più bella delle sue cortigiane a tentarlo con le sue arti, sicuro di poter dimostrare che il santo non sarebbe stato capace di resisterle. E per godersi lo spettacolo e il trionfo della sua tesi, Federico si mise a spiare la scena da un finestrino che dava su quella stanzetta, circondato dai suoi cortigiani che già pregustavano il divertimento di smascherare il santo frate. Ma Francesco, all’arrivo della donna non si scompose. “Cosa vuoi?” le chiese. “Giacere con te” rispose quella. E Francesco: “Ti preparo subito il giaciglio” e svuotò per terra il braciere che riscaldava la stanza. Poi si distese sulla brace ardente e invitò la donna a fare altrettanto. Quella fuggì inorridita e pentita per ciò che aveva osato tentare. Federico II aveva perso!

Enzo

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