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PAPA FRANCESCO
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Il Concilio di Gerusalemme

Questo concilio della chiesa primitiva celebrato a Gerusalemme è raccontato da San Luca negli Atti degli Apostoli (At 15,1-35) e da San Paolo nella Lettera ai Galati (Gal 12,1-9). Solo con gli studi esegetici di fine XIX e XX secolo si è cominciato a individuare e a studiare questa “riunione”.

La disputa prende spunto in seno alle prime comunità cristiane di Antiochia di Siria evangelizzate da Paolo di Tarso e Bàrnaba. In particolare, alcuni farisei provenienti da Gerusalemme, divenuti cristiani, insegnavano ai pagani convertiti: “se non vi fate circoncidere secondo la legge di Mosè, non potete essere salvi” (At 15,1). I pagani convertiti erano però estranei dalla tradizione ebraica e, soprattutto, non erano circoncisi. Ecco posta la grande questione. Si può diventare cristiani senza prima farsi ebrei? Il dibattito acquistò una tale risonanza che Paolo e Bàrnaba, che si trovavano in quel tempo ad Antiochia di Siria, furono costretti a salire a Gerusalemme per sottoporre questa grave questione agli apostoli e agli anziani perché prendessero un decisione. Ebbe luogo allora ciò che si definisce impropriamente il “concilio apostolico”.[1]

Era in gioco dunque l’avvenire della Chiesa. il valore della redenzione di Cristo veniva drasticamente ridotto e subordinato all’osservanza della legge Mosaica. La formula di concordia del concilio di Gerusalemme dimostra che il problema venne superato solo in parte, perché di fatto una divisione permase e ne troviamo traccia nella maggior parte delle lettre di San Paolo, nelle quali risalta la sua continua lotta contro le problematiche create nelle Chiese dai credenti giudaizzanti. L’unità della Chiesa rimase, tuttavia, intatta.

Per comprendere quanto la questione riguardi ancora noi oggi più che in altri tempi, dobbiamo immedesimarci nella prospettiva degli attori che ne hanno preso parte. Uno dei personaggi che ci può aiutare in modo eloquente è proprio Paolo di Tarso.

Se lasciamo parlare l’apostolo delle genti ponendoci in un coinvolgente ascolto “rischiamo” di farci trascinare nell’affascinante esperienza di un cammino spirituale in continua progressione.

Paolo, rivolgendosi al popolo di Gerusalemme dice “… io sono un giudeo, nato a Tarso, in Cilicia, ma educato in questa città, istruito ai piedi di Gamalile, nella rigorosa osservanza della legge dei padri …” (At 22,3). Paolo ha ricevuto la sua educazione alla scuola dei rabbini, e in particolare del più celebre fra loro, Gamalile. Ancora, ai Galati Paolo scriverà: “… Udiste infatti il mio modo di comportarmi nel giudaismo: perseguitavo oltre ogni limite la Chiesa di Dio e cercavo di rovesciarla, e mi ero spinto, nel giudaismo, oltre tutti i miei coetanei appartenenti al mio popolo, difensore fanatico com’ero, in misura maggiore di loro, delle tradizioni dei miei padri …” (Gal 1,13-14). Paolo è un giudeo che diventa cristiano e non si tratta di scegliere una corrente teologica piuttosto che un’altra: per lui diventa determinante la novità di Cristo.

Paolo dunque, prima della sua conversione, era un rigoroso osservante della legge Mosaica. È lui stesso a definirsi un fanatico delle tradizioni dei padri. In queste condizioni, che oggi definiremmo di estremo fanatismo religioso, il Signore offre a Paolo l’opportunità di acquisire un cuore che “vede”. Paolo è ora nella terra di “confine”, la posta in gioco è la vita e ad essere interpellata la sua libertà. Il Signore non impone nulla, aspetta la nostra libera risposta. Paolo rimette in discussione le sue sicurezze e la sua faccia, ma la scoperta è troppo grande, una nuova, vera vita, libera, in Cristo. Per Paolo non ci saranno più tradizioni e leggi che fermeranno o etichetteranno il suo cammino di conversione. Paolo ammaina ogni bandiera o vessillo personale per conformare la propria vita in Cristo. La vocazione di tutti Cristiani è si di scoprire ogni giorno i propri limiti ma, allo stesso tempo, farne tesoro ed oltrepassarli.

Ritorniamo al concilio di Gerusalemme. È facile adesso comprendere lo stato d’animo di Paolo quando vede ridurre la messianicità di Gesù e la sua risurrezione ad una etichettatura legislativa (la circoncisione) che rischia di provocare una divisione in seno alle comunità cristiane. La prima discussione interna della Chiesa è quella di correre ai ripari per una possibile frattura e su questo fronte, la Chiesa di tutti i tempi, è sempre chiamata a combattere per l’unità.

Il nostro cammino di conversione comincia quando ci lasciamo prendere per mano dal Signore e ci lasciamo guidare oltre il confine di ogni nostra paura. In fondo questa è anche la via della santità, da soli viviamo come aggrappati a delle “stampelle” – anche per Paolo di Tarso le stampelle erano la legge dietro la quale nascondeva le sue insicurezze e poneva così un forte limite alla sua libertà. La via della santità è scoprire che siamo capaci di vivere senza stampelle perché non siamo e non saremo mai soli.

Il concilio di Gerusalemme ci insegna che dietro ogni forma di legalismo esasperato si celano spesso quelle consuetudini dalle quali non vogliamo mai staccarci. Mentre, essere cristiani è un’avventura meravigliosa, ma dobbiamo lasciare i “porti” delle nostre false sicurezze e “duc in altum” prendere il largo come Gesù esortava sempre i suoi apostoli.

Al primo concilio della chiesa la paura di alcuni era staccarsi da una reiterata azione rituale anche a scapito di creare una frattura in seno alle comunità cristiane. Paolo con la sua esperienza non farà di Cristo una nuova legge e non alzerà gli scudi. Anzi, pur affrontando la questione con il suo impetuoso carattere non cadrà nella trappola della contrapposizione.

Per Paolo dunque era necessario convincere della relatività della circoncisione ridotta, al pari della incirconcisione, a grandezza indifferente, come appare in tre passi paolini: «La circoncisione non conta nulla, e nulla conta l’incirconcisione» (1Cor 7,19); «ln Cristo Gesù infatti né la circoncisione conta qualcosa né l’incirconcisione» (Gal 5,6); «Perché ciò che conta non è la circoncisione né l’incirconcisione» (Gal 6,15).

Il vero problema consisteva nel colmare la distanza spirituale che separava i giudei dai pagani e nell’abbattere il muro divisorio che rendeva l’un l’altro estranei i due popoli. Riassumendo il messaggio dell’assemblea di Gerusalemme, dice la Didachê: “Se puoi portare tutto quanto il giogo del Signore sarai perfetto. Altrimenti fa quello che ti è possibile”. La chiesa aveva tagliato il cordone ombelicale che la collegava al giudaismo. Un passo notevole era stato compiuto.[2]

Nando


[1] Henri Dominique Saffrey, “San Paolo Apostolo” – Una biografia storica, ed. San Paolo 1995.

[2] Frédéric Manns, “Saulo di Tarso” – La Chiamata all’universalità, ed. Terra Santa 2008.

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